Il bambino per crescere ha bisogno di tutto il suo bagaglio della sua storia personale, per creare il racconto di sé con il mondo e nel mondo; racconto nutrito e narrato prima dalla famiglia, poi da chi si prende cura di lui di volta in volta e infine dagli incontri che farà. Ecco che il gioco diventa per il bambino l’opportunità di sperimentare e agire quello che c’è dentro di lui, per conciliarlo con ciò che sta fuori; il gioco è l’opportunità di crescere nella condivisione con se stesso, nel gioco individuale e nella condivisione con il mondo, nel gioco con gli altri. La rabbia, la paura, la tristezza e la solitudine trovano un posto certo e sicuro per essere esplorate, attraversate e trasformate in qualcosa di buono da sentire. E allora diventa sempre più difficile scegliere un gioco da comprare o da “fare” in questa pluralità di proposte e di intenti.
Giochi reali o virtuali? Tecnologici o artigianali? Di carta, plastica, in plexiglass o legno? Un orso di peluche con il quale dormire, la bambola di pezza o il pallone da calcio portato sotto il braccio. Oggetti di transito tra il dentro e il fuori. Nella valigia quando si parte, nello zainetto per andare a scuola. Il bambino che gioca dà corpo e voce ai fantasmi percepiti, portandoli fuori e vivendoli. Il gioco diventa simbolico: il bambino fa finta di… arrabbiarsi, ridere o piangere. Di fingersi re, regina, cattivo o buono, strega o fata. Il gioco riveste allora la funzione compensativa di dare al bambino un ruolo, quello di protagonista e creatore di uno spazio autentico e protetto, immaginato ma fortemente reale. Il gioco buono e giusto è quello che riesce a raccontarsi al bambino che lo gioca. Quello che diventa ponte tra immaginazione e realtà; tra vissuto personale e narrazione del mondo che lo circonda. Quello che crea sempre una prospettiva di relazione e uno sfondo vissuto fatto di arcobaleni e cieli stellati ma anche di boschi e antri bui. Il gioco vero, nutre e disseta e comincia sempre con “C’era una volta… un bambino”, ma questa è un’altra storia.
La linea legno comprende: i Doni degli Dei, collezione di 13 puzzle dai pioli giganti; Mitomondo, collezione di 4 puzzle ad incastro; Mio Tempio, gioco di costruzione magnetico che comprende una collezione di 10 templi greci ed infine i Mitoyoyo, collezione di 16 yo-yo ispirata agli antichi dei greci. Ogni collezione è dotata di un racconto mitologico bilingue e confezionata all’interno di pregiate scatole di cartone.
Mito è una parola che deriva dal greco antico e significa “racconto fantastico” e si colloca tra la storia e la fantasia. Esso nasce in un luogo non luogo, fuori dal tempo e dalla storia e conserva la freschezza e l’immaginazione di una umanità fanciulla. Ed è proprio questo ciò che ha in comune con l’infanzia: la curiosità, la fervida immaginazione e l’immediata spontaneità. Il mito è apparentemente fuori da ogni logica e da ogni razionalità; ha la capacità bambina di associare assurdo e coerenza. Proprio come il gioco di un bambino che sta concretamente ancorato alla realtà, ma si astrae per creare nuove strutture, competenze e saperi. Perché il bambino ha bisogno di giocare e di imparare toccando, guardando, facendo esperienza diretta della sensorialità.
Per questo motivo, tutti i giochi della famiglia olimpini risultano unici nel loro genere e si ispirano proprio a questo, alla voglia di dare corpo reale e concreto, di dare un volto ai miti che fino ad ora sono stati narrati, illustrati, immaginati, ma mai “giocati” con qualcosa che si può toccare realmente attraverso puzzle, costruzioni, personaggi che prendono vita, forma fisica e consistenza reale tra templi colossali e mondi di appartenenza, che altrimenti rimarrebbero nell’ immaginario come un’idea. Il mito esprime i primordi di una società, con le sue regole, la sua cultura e il suo pensiero sulla vita e la realtà che la circonda, ma soprattutto è fortemente legato al territorio che lo genera e nasce come esigenza di esprimere usi, costumi, lingua e pensiero della civiltà che lo genera, contenuti che ritroviamo nei percorsi formativi di educazione civica nelle scuole, già a partire dai 3 anni di età. Trasmettere questo senso di appartenenza e questo piccolo bagaglio culturale diventa imprescindibile per le generazioni future.
Giocare con la “famiglia olimpini” diventa per il bambino uno stimolo tattile, visivo e manipolativo ma nello stello tempo un input continuo ad andare e tornare dal vero al fantastico, dal reale all’immaginato, dal concreto al sogno. La sfida per la famiglia olimpini è quella di poter far rivivere le antiche vestigia della propria città e di portarli allo sguardo attento e vigile di un bambino, che scopre e apprezza la bellezza della sua città e dà voce e senso anche a ruderi e resti archeologici, che altrimenti non avrebbero nessun significato; per immaginare una bellezza che è stata, ma soprattutto per imparare a guardare la bellezza che c’è.