C’era una volta

Il bambino per crescere ha bisogno di tutto il suo bagaglio della sua storia personale, per creare
il racconto di sé con il mondo e nel mondo; racconto nutrito e narrato prima dalla famiglia, poi da chi si prende cura di lui di volta in volta e infine dagli incontri che farà. Ecco che il gioco diventa per il bambino l’opportunità di sperimentare e agire quello che c’è dentro di lui, per conciliarlo con ciò che sta fuori; il gioco è l’opportunità di crescere nella condivisione con se stesso, nel gioco indivi- duale e nella condivisione con il mondo, nel gioco con gli altri. La rabbia, la paura, la tristezza e
la solitudine trovano un posto certo e sicuro per essere esplorate, attraversate e trasformate in qualcosa di buono da sentire. E allora diventa sempre più difficile scegliere un gioco da comprare o da “fare” in questa pluralità di proposte e di intendi.
Giochi reali o virtuali? Tecnologici o artigianali? Di carta, plastica, in plexiglass o legno? Un orso
di peluche con il quale dormire, la bambola di pezza o il pallone da calcio portato sotto il braccio. Oggetti di transito tra il dentro e il fuori. Nella valigia quando si parte, nello zainetto per andare a scuola. Il bambino che gioca dà corpo e voce ai fantasmi percepiti, portandoli fuori e vivendoli.
Il gioco diventa simbolico: il bambino fa finta di…arrabbiarsi, ridere o piangere. Di fingersi re, regina, cattivo o buono, strega o fata. Il gioco riveste allora la funzione compensativa di dare al bambino un ruolo, quello di protagonista e creatore di uno spazio autentico e protetto, immaginato ma fortemente reale. Il gioco buono e giusto è quello che riesce a raccontarsi al bambino che lo gioca. Quello che diventa ponte tra immaginazione e realtà; tra vissuto personale e narrazione del mondo che lo circonda. Quello che crea sempre una prospettiva di relazione e uno sfondo vissuto fatto di arcobaleni e cieli stellati ma anche di boschi e antri bui. Il gioco vero, nutre e disseta e comincia sempre con “C’era una volta… un bambino”, ma questa è un’altra storia.

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