Dio del vino, Dioniso era figlio di Zeus e di Semele. Egli divenne oggetto di un ricchissimo ciclo di favole e leggende sorte in tutte le regioni della Grecia, della Tracia e dell’Asia. Quando Era si accorse che Semele, figlio di Glauco, doveva metterlo al mondo, le consigliò perfidamente di chiedere a Zeus di apparirle nel suo aspetto divino e glorioso. Ben sapeva la gelosa moglie del re degli dei che la vista di Zeus l’avrebbe arsa viva. E così avvenne. Le fiamme di cui Zeus splendeva incenerirono la povera Semele. Ma l’Olimpio raccolse il bambino, nato prematuramente, e se lo cucì in una coscia. Venuta l’ora, lo rimise in luce e lo affidò ad Ermes, il quale lo portò dalle Ninfe della montagna di Nisa, che abitavano una grotta tappezzata di vite selvatica. Le Ninfe, le Ore e i Satiri dai piedi caprini si dedicarono all’educazione del riccioluto fanciullo. Tutto a Dioniso fu permesso: rincorrere i cerbiatti nei boschi, arrampicarsi sugli alberi. Divenne un grande cacciatore e accumulò miracolosamente le belve tenne accanto a se due tigri docili come gattini. Un giorno, raccolti alcuni grappoli della vite che coprivano la parete della grotta, provò a farne colare il succo in una coppa d’oro. Quando bevve il liquore vermiglio, sentì più che mai di essere un dio. Un grande dono per i mortali: l’umanità avrebbe avuto il suo nettare. Ninfe e Satiri assaggiarono la spumosa porpora e li assalì una divina ebbrezza. Dioniso decise di partire per rivelare agli uomini l’arte d’inebriarsi con il mosto fermentato. Ninfe e Satiri lo accompagnarono in corteo. Il gioioso corteo attraversò regioni immense. L’Egitto e l’India ricevettero il battesimo del vino. Era, che odiava Dioniso a morte, lo perseguitò con infiniti pericoli, lo colpì di follia, cercò di farlo incatenare nel sonno dai pirati: ma il dio spezzò i vincoli e trasformò la nave in vigna ed i rapitori in delfini. Le collere di Dioniso sono terribili; il vino, fonte di gioia e di poesia, era spesso causa di furore e di delitto. Di ritorno dall’Oriente, Dioniso sbarcò con la sua corte rumorosa sulle floride rive dell’isola di Nasso. Il lido risuonava di canti scomposti; dagli otri colava a fiumi la rossa bevanda. Intorno al dio la corte si abbandonava a danze frenetiche. All’improvviso, il vento leggero portò all’orecchio del dio l’eco di un lamento. Due satiri vennero correndo a riferirgli che, in un piccolo bosco c’era una donna bellissima come una dea, che singhiozzava accasciata sull’erba. Dioniso ordinò che fosse condotta al suo cospetto. La donna era Arianna, sposa di Teseo, che l’aveva abbandonata volontariamente sull’isola deserta, perseguitato dalla tempesta. Dioniso la contemplò, cercando di confortarla. Decise allora che sarebbe diventata la sua sposa. Le nozze vennero celebrate in un’immensa frenesia di danze e di cori. Un carro trainato da due pantere condusse i due sposi divini sulle vette dell’Olimpo. Il culto di Dioniso era diffuso ovunque nell’antichità. Si venerava in Dioniso non solo l’inventore del vino, ma anche l’ispiratore d’ogni entusiasmo e d’ogni ebbrezza. Le feste che si celebravano in suo onore ad Atene durante l’autunno, le Dionisiache, consistevano in cori e danze, in dialoghi e mascherate. Dioniso era venerato in origine sotto le sembianze di un albero avvolto d’edera. Più tardi lo si rappresentò come un bell’uomo virile e barbuto, coronato d’edera e di pampini. All’epoca di Pericle, il dio prese l’aspetto più effeminato, con capelli in cui risplendono gioielli femminili. Talvolta aveva sulle spalle una pelle di caprone o di leopardo. Il suo carro era tirato dalle linci e dalle tigri, circondato da Satiri e baccanti. La tazza e il tirso erano i suoi attributi; la vite e l’edera, il fico e la quercia i suoi alberi prediletti. Talvolta gli scultori o i pittori lo raffiguravano con accanto una gazza, simbolo della chiacchiera petulante degli ubbriaconi.