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EFESTO (Ἥφαιστοσ)

Dio del fuoco, era figlio di Zeus ed Era. Efesto era talmente spiacevole di aspetto che quando nacque la madre stessa prese ad odiarlo e finì con il lanciarlo giù dall’Olimpo. Il povero reietto cadde per un giorno intero, e, quando si fermò, si trovò azzoppato, sull’isola di Lemno che fremeva di fuochi nascosti. Là impiantò la sua fucina in un cratere e vi lavorò per nove anni, a battere e plasmare ferro, bronzo e i metalli preziosi. Nelle viscere fumose del vulcano Etna, aveva un’altra fucina dove, con l’aiuto dei Ciclopi, giganti con un occhio solo in mezzo alla fronte, batteva sull’incudine i fulmini per Zeus. I boati del vulcano, le sue piogge di sassi e lapilli, le lente colate di lava erano per gli uomini segnali dell’attività sotterranea di Efesto e dei suoi inservienti. Un giorno, stanco di affaticarsi sempre al buio, in una tormenta di scintille, Efesto cercò di risalire sull’Olimpo, da dove la madre lo aveva lanciato. Fabbricò un bel trono d’oro, tutto filigrane e ceselli e lo mandò in dono ad Era. Ma appena ci si sedette, la dea si sentì legata da invisibili fili e non valsero le fatiche di tutti gli Olimpi per staccarla dal trono. Zeus mandò Ermes fin nell’antro di Lemno a cercare l’autore di quel infido dono. Efesto accettò di liberare Era, a patto di poter ritornare, con tutti gli onori, nella reggia degli dei. Appena rientrato sull’Olimpo, dove vi impiantò una formidabile fucina. Tutti gli dei reclamavano che Efesto gli realizzasse qualche gioiello. Zeus ebbe da lui lo scettro e un trono d’oro; Apollo il carro scintillante; Demetra, dea delle messi, la lucida falce. Efesto cesellò coppe e vassoi, fabbricò seggi per gli dei, ornò di statue d’oro le sale immense dell’Olimpo. Il dio del fuoco, tanto brutto da destare le risate degli altri dei quando compariva nelle loro adunanze e nei loro convitti, ebbe la triste idea di sposare Afrodite, dea della bellezza. Non fu un matrimonio felice; la capricciosa dea infatti lo tradì con Ares, dio della guerra. Quando, un giorno, Efesto riuscì a imprigionarli insieme in una sottilissima rete facendoli vedere a tutti gli dei riuniti, invocando vendetta, non ottenne che risate. Efesto venne rappresentato sotto le sembianze di un fabbro muscoloso e villoso, avvolto di una leggera tunica, con in mano un martello e una tenaglia. Spesso si poneva accanto un leone, belva il cui ruggito evocava i sordi boati dei vulcani.



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