Oceano era la personificazione dell’acqua che circondava il mondo. Veniva rappresentato come un fiume che scorreva attorno ad un disco piatto che era la Terra. Come divinità, Oceano venne immaginato figlio di Titano e di Gea. Dalle sue onde si credeva emergesse il sole e, al di là di esse, cominciassero, in una notte perpetua, i misteriosi mondi dell’Oltretomba. Teti era sua moglie e dalla loro unione ebbero origine i fiumi, trasformati in altrettanti dei fluviali, che avevano sede in ampie grotte, vicino alle loro sorgenti e potevano trasformarsi a loro piacimento nelle più svariate forme.
Anfitrite era la regina del Mare. Apparteneva al gruppo delle figlie di Nereo e di Doride, che si chiamavano le Nereidi. Era lei a dirigere il coro delle sorelle. Un giorno, mentre danzava con loro vicino all’isola di Nasso, Poseidone la vide e la rapì. Si narra anche che Poseidone l’amasse da molto tempo, ma per pudore, la fanciulla si negasse a lui e si nascondesse nelle profondità dell’Oceano, al di là delle Colonne d’Ercole. Ritrovata dai delfini, fu riportata da loro, in gran pompa, da Poseidone, che la sposò. Ella aveva la stessa funzione, presso il dio del mare, di quella che Era vicino a Zeus e Persefone vicino al re dei Morti. Si usava rappresentarla con un numeroso seguito di divinità marine.
Vecchio dio marino, figlio di Oceano e di Gea, dalla lunga barba verde-azzurra, padre delle Nereidi. Nereo era un dio marino più antico di Poseidone ed una delle figure che più frequentemente intervengono nel folklore marino della Grecia. Come la maggior parte delle divinità marine, Nereo aveva il potere di trasformarsi in qualunque specie di animale e di essere. Questo potere gli servì allorché tentò di sottrarsi alle domande poste da Eracle, il quale gli chiedeva come fare a raggiungere il paese delle Esperidi. Generalmente, Nereo era ritenuto un dio benevolo verso i marinai. Era raffigurato mentre cavalcava un tritone ed armato di tridente.
Le Nereidi erano divinità marine, figlie di Nereo e Doride e nipoti di Oceano. Rappresentavano le onde del mare ed erano in numero di cinquanta. Le Nereidi vivevano in fondo al mare, nel palazzo del loro padre, sedute su troni d’oro o in groppa a cavalli marini o su carri trainati da tritoni. Erano tutte bellissime, con i capelli ornati di perle, sciolti sulle spalle. Occupavano il tempo a filare, tessere e a cantare. Il più delle volte intervenivano nelle leggende come spettatrici, raramente come attrici. Piangevano con la sorella Teti, la morte di Achille e quella di Patroclo. Indicavano ad Eracle come ottenere da Nereo le informazioni necessarie sulla via del paese delle Esperidi. Erano inoltre presenti alla liberazione di Andromeda da parte di Perseo.
Semidio marino, figlio di Poseidone e di Anfitrite, secondo alcuni; della ninfa Salacia, secondo altri; o di Oceano e Teti. Aveva come sorella Roda. Benché la sua dimora fosse, generalmente, l’intero mare, Tritone era ritenuto talvolta il dio del lago Tritonio, in Libia. Gli si attribuì una figlia, Pallade, compagna di giochi di Atena, che fu uccisa accidentalmente da quest’ultima. La tradizione conobbe un’altra figlia di Tritone, una sacerdotessa di Atena chiamata Triteia, la quale fu amata da Ares dal quale ebbe un figlio, Melanippo. Era comunemente rappresentato come un uomo vigoroso, nella parte superiore del corpo sino ai reni, nell’atto di nuotare. La parte inferiore, invece, finiva nel corpo di un pesce, terminante con una doppia coda, come quella del delfino, ma di straordinaria lunghezza. La sua funzione era di precedere, come trombettiere, Poseidone con il suo cocchio, annunziandone l’arrivo, allo stridulo suono di una conchiglia ritorta, che Poseidone gli aveva lasciata, in riconoscente ricordo dell’importante servizio da lui resogli, durante la guerra contro i Giganti. Quest’ultimi si erano dati alla fuga grazie al fragore, rimbombante alle loro orecchie, di quel corno guerriero. La leggenda fa intervenire Tritone nella spedizione degli Argonauti. Proprio lui, sotto le sembianze di Euripilo diede una zolla di terra ad Eufemo come dono d’ospitalità e indicò ai naviganti la rotta da seguire per raggiungere il Mediterraneo. Tritone compare anche in una leggenda beota, a Tanagra. Si raccontava che, durante una festa di Dioniso, le donne del paese si facessero il bagno nel lago. Mentre nuotavano, Tritone le aveva attaccate. Ma, rispondendo alle loro preghiere, Dioniso era giunto in aiuto e aveva messo Tritone in fuga. Si narrava inoltre che Tritone si abbandonasse a razzie sulla riva del suo lago, rubando mandrie, fino al momento in cui venne deposta sulla riva una brocca di vino. Tritone, attratto dall’odore, si avvicinò e bevve. Poi si addormentò sul posto e questo permise che venisse ucciso a colpi di scure. Il nome di Tritone generalmente non viene attribuito ad una sola divinità, ma ad un insieme di esseri.
Dio marino, secondo la leggenda, figlio di Poseidone e di Teti, custode, per incarico del padre, delle foche e dei vitelli marini. Come le altre divinità marine, egli aveva il dono della divinazione, ma era assai difficile avvicinarlo e richiedergli un vaticinio. Era necessario sorprenderlo nel sonno e legarlo stretto, senza temere che egli assumesse le diverse forme di leone, di tigre, di pantera, di cinghiale, di drago, di albero, di acqua corrente che egli aveva il potere di assumere, per sottrarsi alle domande che gli fossero state rivolte. Solo da legato egli era costretto a predire il futuro. A lui fece ricorso Menelao, trattenuto con le sue navi in Egitto a causa della mancanza di venti propizi alla navigazione. Di lui ebbe compassione Idotea, figlia di Proteo, la quale gli insegnò il modo per sorprendere il padre e costringerlo a svelargli la volontà degli dei. Fece scegliere a Menelao tre dei suoi più valenti soldati e portò loro quattro la pelle di quattro foche, della quale li fece rivestire. Così travestiti, li fece attendere sulla riva del mare che, a mezzogiorno, il padre uscisse dalla sua grotta presso l’isola di Faro, passasse in rassegna le foche a lui affidate e poi si riposasse. All’ora fissata, le foche uscirono dal mare e si coricarono in fila sulla spiaggia, accanto a Menelao ed ai suoi uomini. Proteo li contò e, poiché il numero era corretto, si mise a dormire. Allora, i quattro si lanciarono su di lui e lo legarono, senza spaventarsi delle forme che assumeva. Proteo, costretto ad arrendersi, diede a Menelao tutti i consigli richiesti. Interrogatolo sulle sorti degli eroi che erano stati suoi compagni durante l’assedio di Troia, Menelao seppe della tragica sorte accaduta al fratello Agamennone e di Ulisse, ospite della ninfa Calipso, presso l’isola di Ogigia.
Le Sirene erano demoni marini, metà donne e metà uccelli. In alcune leggende erano considerate figlie della musa Melpomene e del dio-fiume Acheloo, in altre di Acheloo e di Sterope, ella stessa figlia di Portaone e di Eurite. Si attribuivano loro, inoltre, quali genitori Acheloo e la musa Tersicore, oppure Forcide, il dio marino. Secondo Libanio, esse erano nate dal sangue di Acheloo quando quest’ultimo era stato ferito da Eracle. Le Sirene erano menzionate, per la prima volta, nell’Odissea in numero di due. Altre tradizioni, ne conoscono quattro: Telete, Redne, Molpe e Telsiope; oppure tre: Pisinoe, Aglaope, Telsiepia. I mitografi narrano che erano delle musiciste notevoli: una suonava la lira, un’altra cantava, la terza teneva il flauto. Le Sirene secondo un’antica leggenda, stavano in un’isola del Mediterraneo e, con il fascino della loro musica, attiravano i marinai che passavano nelle vicinanze. Le navi si avvicinavano pericolosamente alla costa rocciosa della loro isola e si distruggevano. Le Sirene divoravano così gli imprudenti.
Si racconta che gli Argonauti passarono vicino alle Sirene, ma Orfeo cantò così melodiosamente, finché la nave fu alla portata della loro musica, che gli eroi non ebbero la voglia di approdare, fuorché Bute, il quale si precipitò in mare per raggiungerle, ma venne salvato da Afrodite. Lo stesso Ulisse passò da quei paraggi ed ordinò ai suoi uomini di tapparsi le orecchie con la cera per non sentire il canto delle Sirene. I mitografi sin dall’antichità hanno speculato sull’origine e la forma delle Sirene. Ovidio racconta che esse non avevano sempre posseduto le ali d’uccelli. Un tempo erano delle ragazze comuni, compagne di Persefone. Ma, allorché, quest’ultima venne rapita da Ade, chiesero agli dei di dare loro le ali per poter cercare la loro compagna ovunque. Secondo altri autori, le ali furono una punizione inflitta loro da Demetra, dato che loro non si erano opposte al rapimento della figlia. Infine si narra che una volta trasformate, le Sirene avessero voluto rivaleggiare con le Muse e queste ultime, irritate, le avessero spennate e si fossero incoronate con le loro piume. Tradizionalmente, l’isola delle Sirene si trova lungo le coste dell’Italia meridionale, probabilmente al largo della penisola di Sorrento.